Quando si parla genericamente di safena si fa riferimento alla grande safena, ma la piccola safena è poi così diversa? ….ni! 🙄🤔 Certo, la vena piccola safena (VPS), come la grande safena (VGS), fa parte del circolo venoso superficiale. Inizia alla caviglia (posteriormente) e confluisce nel circolo venoso profondo al poplite: questo “sbocco” prende il nome di crosse safeno-poplitea.
Presenta però alcune differenze dalla VGS: per es. è ovviamente più corta e ha un calibro minore. Inoltre, la sua anatomia è molto più variabile: sembrerebbe che, almeno nel 30% della popolazione, lo sbocco sia in una sede atipica (in genere più in alto).
In ragione di queste e altre differenze il trattamento è molto, ma moolto più eterogeneo: fino a circa 20-30 anni fa era ancora molto diffusa la chirurgia tradizionale: ovvero si “sfilava” come la grande safena.
Il diffondersi della scleroterapia con schiuma però, ha rappresentato una rivoluzione nel trattamento della VPS e si è iniziato ad optare per trattamenti diversi. A questo si sono aggiunte le tecniche endovasali come laser e radiofrequenza che hanno ampliato ulteriormente le possibilità di scelta.
Questa grossa variabilità negli approcci terapeutici è dipesa fondamentalmente da due aspetti:
- Tecnicamente, la chirurgia della VPS è generalmente un po’ più complessa di quella della VGS. In prossimità della crosse safeno-poplitea c’è il nervo sciatico e i capi terminali di diversi muscoli, con i loro tronchi venosi, anch’essi con una rilevante variabilità anatomica.
- A fronte di ciò la VPS risponde bene ai nuovi trattamenti (in alcuni casi anche meglio della VGS).
Il risultato è che la chirurgia tradizionale della VPS, oggi, si esegue molto raramente, soprattutto in quei centri in cui sono disponibili le metodiche endovasali.
Tra i vari possibili approcci, i più diffusi sono:
Trattamento con schiuma sclerosante: molti chirurghi sostengono che l’avvento della schiuma abbia segnato la fine della chirurgia della VPS, che addirittura non dovrebbe nemmeno essere presa più in considerazione. Pur non condividendo personalmente un taglio così drastico, è vero che, con la giusta indicazione, dà ottimi risultati con percentuali di successo elevate.
Trattamento ibrido: questa indicazione comprende un ampio ventaglio di possibili combinazioni di chirurgia e scleromousse. La sfida rimangono sempre le vene troppo dilatate, che possono ricanalizzarsi …ma giustamente, i sostenitori rammentano che si può sempre successivamente ripetere il trattamento sclerosante (con schiuma) in ambulatorio, al bisogno. Personalmente la reputo una considerazione più che sensata, ma anche il successo del ritrattamento è molto legato al diametro della vena.
Trattamento endovasale (laser etc..): ovvero quei trattamenti in cui non ci sono in genere incisioni e la vena viene trattata “dall’interno” (come si legge qui).
In questo caso però vanno distinte le tecniche termoablative dalle altre: le tecniche termoablative sono sostanzialmente laser e radiofrequenza. Si chiamano così perchè la loro azione si esplica con la produzione di calore e hanno uno svantaggio: nonostante si mettano in atto alcune procedure per proteggere le strutture nervose circostanti e il risultato ecografico sia buono se non ottimo, con una discreta frequenza (10-25%), proprio per la vicinanza con strutture nervose importanti, può residuare una sensazione che va dall’insensibilità lungo il decorso del trattamento, ad una vera e proprio dolenzia. Questa complicanza può durare molto a lungo (anche un anno e oltre, seppur attenuata). Rammento però che ciò può accadere anche dopo chirurgia tradizionale, con una frequenza paragonabile.
Tra le tecniche endovasali però, ve ne sono alcune che agiscono chimicamente e agiscono solo all’interno della vena. Tra queste, le più diffuse sono quelle note come “colla” e MOCA (un trattamento chimico la prima, mentre la seconda all’azione chimica associa un’azione meccanica). I risultati di queste metodiche non sono paragonabili a quelli di laser e chirurgia, tuttavia rappresentano un’opzione valida se se ne considera anche la relativa scarsa invasività.
In conclusione: gli studi sulle varie possibili opzioni per trattare la VPS non sono così numerosi come quelli relativi alla vena grande safena e al momento, non sembrerebbero esservi evidenze consistenti a favore di uno o dell’altro. Ciononostante, la chirurgia tradizionale è indicata solo in casi molto selezionati, mentre negli altri può essere trattata con molte tecniche.
Personalmente, se per la VGS ho ben chiari i metodi che preferisco, per la vena piccola safena, mettendo sul piatto dela bilancia anche svantaggi e risultati delle singole tecniche, ancora non ne indicherei uno migliore rispetto all’altro. Attualmente l’atteggiamento più diffuso è quello di tentare un trattamento meno invasivo per le vene di calibro contenuto e un trattamento più aggressivo per le altre (tra questi in letteratura, ad oggi, i più raccomandati sono laser e radiofrequenza).